venerdì 30 marzo 2012

BELLO BELLO BELLO!!!

Non posso dire di non aver provato una sauna! Sono le 21:05 di questo venerdì e ho la maglietta che sembra una seconda pelle. I grilli onnipresenti. Mi siedo e penso che sono felice. Ho passato una bellissima giornata! Questa mattina ho mosso i miei primi passi da sola davvero. Sono stata inviata come rappresentante alla proclamazione dei risultati scolastici del trimestre dei ragazzi della scuola dei sordi muti di Rungu. Ci ho messo un po’ a trovare la strada. Pensavo di aver memorizzato bene il percorso tra la fila di capanne…ma…devo aver avuto una faccia a punto interrogativo se un ragazzo mi ha detto che se cercavo la scuola dovevo tornare indietro..!!Alla fine sono arrivata.Oh! Che accoglienza ragazzi! Non è la prima volta che passo del tempo con loro ed ogni volta il cuore mi batte forte! In una terra dove la disabilità fisica può essere causa di terribili marginalità legate a particolari credenze, vedere come gli insegnanti sorridono e i ragazzi si impegnano ad eseguire balletti scanditi da un piccolo tam tam( il tamburo tipico) seguendo una musica che non possono sentire…e tutto questo oggi solo per me…bè !! Che tremenda emozione!! Fortuna che sono riuscita a racimolare 4-5 frasi per dire grazie in un misto di francese e lingala! Che ridicola scenetta! Immaginatevi! 
Ho ripreso la mia strada e mi sono diretta verso un’altra costruzione di mattoni rossi. Le porte chiuse, le finestre coperte. Silenzio! Proiettano un cartone all’Ecole maternelle! Entro e le maestre mi offrono una sediolina. No, grazie! Acciuffo un bimbetto e prendo il suo posto sedendomelo sulle gambe. D’accordo. Dopo 5 secondi mi accorgo che ho azzardato un po’ troppo. Un altro mi si avvicina. E allora libero un ginocchio mentre prendo coscienza dei gradi centigradi e del sole che picchia fuori. Ma si! Mi dico che adesso ci sono e adesso posso sentire questo caldo asfissiante provocato da AFFETTO! Meglio di così?
A proiezione finita ( o meglio interrotta  forzatamente perché i OUI al “Ancora?” non finivano mai..) mi sono alzata per poi sentirmi afferrare, accarezzare, sfiorare, chiamare, tirare da tante manine scure e non ho più resistito..ne ho preso uno in braccio! È stato come aprire una diga! Mi si sono avvinghiati tutti addosso! Me li trovavo dappertutto! Ohhhhhhhhhhhh!!! Bello bello bello!!


domenica 25 marzo 2012

MAGIA

Il sole si intravede tra i rami frondosi dell’albero che ci fa da ombra. I capelli mi si appiccicano sulla fronte. Gli occhi mi bruciano per il calore. Ho tre piccoli corpicini stretti a me. Qui si fa a gara a chi per primo riesce a guadagnarsi un posticino sulle gambe della demoiselle… se avessi più gambe e più braccia mi trasformerei volentieri in un mega divano! Con le dita seguono i contorni delle vene dei miei polsi che spiccano verdi sulla pelle così chiara. Ridacchiano fra di loro e mi guardano sorridenti. Intorno a me tanti giovani impegnati a divertirsi superando prove di abilità fisica e intellettiva. Basta poco per creare il gusto per una sana competizione! Festeggiamo una giornata dedicata ai ragazzi. Nonostante quella che per me è un’ ora in cui sarebbe improponibile assistere a qualsiasi cosa che non sia in acqua o in un frigo, mi ritrovo ad assaporare il gusto dello stare insieme senza pensieri. Vedere la danza tradizionale mi colpisce particolarmente. Abiti fatti di corteccia d’albero, accessori di pelle di scimmia, i tipici strumenti a percussione in legno naturale e il ritmo tribale che attraversa il suolo e riecheggia fino ad entrarmi nell’anima…  E’ impossibile non ricorrere agli stereotipi o alla retorica. Mi trovo qui e adesso. E posso dire con la mia bocca, vedere con i miei occhi, toccare con le mie mani, respirare la polvere rossa, ascoltare con il mio cuore la magia del Congo, questa terra figlia dell’Africa che mi ha aperto le sue braccia e mi accoglie con gioia. Grazie!

domenica 18 marzo 2012

DAVVERO

Avete presente una miriade di insetti dalle ali trasparenti e dal corpo nero che volano intorno ad una fonte di luce come impazzite? Bene. Immaginate poi una divertente caccia notturna muniti di secchielli, bastoncini e retini. Benvenuti a Rungu! La caccia alle termiti è aperta!!! Ieri sera, superata l’avversione iniziale per queste creature poco carine per i miei gusti, ho potuto apprezzare i cori entusiasti di bambini e adulti intenti nella raccolta! Qui sono una prelibatezza e si attende con ansia la pioggia che dà il via alle danze! Praticamente il sabato sera è passato così per loro. Altro che le luci di una discoteca!
Ed è passato anche il mio compleanno. In un altro continente. A migliaia di chilometri da casa. Un mazzolino di fiori freschi vicino al mio piatto a colazione, un “tanti auguri a te” cantato in tre lingue, una passeggiata piena di saluti, l’affetto di gente che conosco da poco ma che mi dimostra ogni giorno quanto siano felici di avermi qui.
E chi si immaginava che un giorno avrei vissuto sul serio tutto questo? 
 Stamattina ero in chiesa e ad un certo punto è arrivato un bambino che era seduto da tutt’altra parte. Con la manina tesa. Solo per stringere la mia. Sto imparando ad amare ogni gesto. Anche il più piccolo. Senza farmi troppe domande. A rendermi conto che sono io questa che è qui. A capire che ci sono DAVVERO.



lunedì 12 marzo 2012

GLI OCCHIALI 12 marzo 2012

Sono passate due settimane dal mio arrivo a Rungu. E quasi come un tacito anniversario da ricordare, questa mattina una mamma del villaggio è seduta fuori nella frescura delle prime ore, ad aspettarci. Aspetta noi. Possibile? Si. Ci ha portato un dono. Una grossa ananas. L’ha tirata fuori dalla sua borsa di rafia intrecciata e con uno splendido sorriso ha teso le sue mani colme del frutto maturo. Uno stupore misto a gratitudine mi ha attraversato come una scossa. È la prima volta che ricevo un regalo così. Un regalo semplice. Dalle mani di una donna che a malapena ricorda il mio nome. Da una donna che avrà lavorato duro per procurarsi il dono per ME. Da una mamma che ha tolto un frutto ai suoi figli. Le ho detto semplicemente grazie nella sua lingua. Ma basterà? Mi chiedevo. Ho chiesto. Mi hanno detto di si sorridendo, stupiti di questa mia domanda. Si. È così che si ringrazia qui. Cosa altro vuoi fare? E che ne so! L’ho vista riprendere la borsa, adesso vuota, lanciarmi un ultimo saluto e tornare alla sua giornata. Sembrava felice. Io lo ero.  
Le donne qui hanno sempre tanto da fare. Le vedi aggirarsi con sulla schiena e in equilibrio sulla testa di tutto. Ceste di legna, vasche d’acqua, verdura, bambini, abiti, pollame. Questa loro incredibile capacità mi lascia stupita ogni volta. Incredibile, mi dico! Ma come fanno? Durante la manifestazione per la festa della donna, in cui hanno sfilato tutte le categorie femminili del villaggio, dalle più piccole alle più grandi, hanno anche fatto delle mini gare per mettere in luce le loro  capacità. Velocità nell’accendere il fuoco, nel lavare e vestire il proprio figlio, e appunto trasportare in equilibrio sulla testa nuda una bottiglia di vetro vuota!! Oh, che spettacolo!! Ero estasiata.  Partecipare a questo evento mi ha fatto uno strano effetto. A parte l’imbarazzo di trovarmi seduta tra le autorità sotto un baldacchino di bambù per proteggerci dal caldo equatoriale mentre tutti gli altri erano a sciogliersi al calore del sole, ho provato una forte emozione nel vedere la determinazione di queste donne che lottano per essere considerate non come un oggetto. Tanti gli auguri ricevuti dagli uomini. Eppure a lavorare duramente io ho visto solo donne. Non un uomo che si muovesse anche solo per spegnere i fuocherelli dopo la gara. Qui la famiglia è patriarcale ma di fatto molto della gestione famigliare è sulle spalle della donna. Bè, posso dire che in questo caso, tutto il mondo è paese. Ovunque si lotta per la parità dei sessi. Qui fa ancora più effetto, perché per i miei occhi da europea, fa strano assistere ad una giornata di festa a cui partecipano bambini malnutriti e vestiti di stracci. I miei occhi sarebbero portati a vedere altre priorità che una festa. Ma poi mi sono detta che la vita è anche questo. Il gusto di divertirsi e di stare insieme. Di lottare per ideali che trascendano il raggiungimento immediato di un miglioramento. Ho cercato di togliermi di dosso questi occhiali da “donna del primo mondo” e mi sono lasciata travolgere dall’emozione di veder sfilare cantando il proprio inno nazionale i bimbi, le donne sfollate in fuga  (e scalze per ricordarlo) dal territorio del nord,  la recitazione di una poesia sull’uguaglianza fra i popoli.
Cercare di guardare questa realtà senza quei famosi occhiali è difficile. Oggi, per esempio, siamo stati a visitare una scuola elementare nel bel mezzo della foresta. Guardavo le aule. Le pareti sono pezzi di legna uniti tra loro da mura di argilla rossa. I tetti sono costituiti da una fitta trama di pali di bambù ricoperti di foglie di palma. I banchi non sempre ci sono. E sono ancora una volta pezzi di legna poggiati su pali piantati nel terreno. Ho visto tre insegnanti per quattro classi. 50 alunni senza quaderni dove prendere appunti. La mancanza di tutto. Poi ho tolto gli occhiali. Ero sempre lì. E ho visto delle aule in mezzo alla natura incontaminata. Ho conosciuto tre insegnanti che,senza ricevere uno stipendio fisso, sono ogni mattina lì a fare lezione. Ho incontrato gli sguardi di 50 alunni desiderosi di imparare senza quaderni ma con l’entusiasmo della curiosità. Ho deciso. Senza l’uso di quelle lenti europee è tutto molto più ricco di senso. Il senso dell’essenziale! 
L’essenziale. Quello che ci è bastato sabato pomeriggio per cominciare a giocare con i bambini incontrati durante la passeggiata. Non sapevamo come farci capire. Ma chissà come ci siamo riuscite! E alla fine erano loro a far cantare e ballare noi!
Ho messo via questi occhiali. Chiusi nel cassetto. Lo sguardo è più limpido. Il cielo più stellato!
Buonanotte…

giovedì 8 marzo 2012

DENTRO 7 febbraio 2012

Sono appena tornata dalla bottega del sarto. Sono le 22:00. Qui a Rungu c’è ancora chi lavora. Fuori è buio pesto. Nella bottega anche. A parte la luce circoscritta di due torce. Una illumina la macchina da cucire del maestro, l’altra permette all’apprendista  di lavorare a mano. Mi guardo intorno, per quel poco che riesco a scorgere. Stoffe sgargianti, fili colorati, mani all’opera, clienti in attesa che chiacchierano. Non si vede nulla al di là del mio naso. Penso che si incredibile! Come possono loro, mi dico, intessere le trame della loro vita così difficile, con la stessa semplicità con cui ricamano al buio gli abiti della festa? Come possiamo noi, mi dico, lamentarci se per un’ora del pomeriggio ci hanno staccato la corrente elettrica per dei lavori nel quartiere?
Non lo so. Penso solo a custodire tutte queste emozioni. Nello stesso momento in cui lo faccio il mio pensiero corre a chi è lontano. A chi non può afferrare questa estrema semplicità racchiusa in un angolo di foresta equatoriale. A chi non può sentire la brezza calda della sera congolese sulle guance. A chi non può percorrere 5 km di strada polverosa e rossa per raggiungere un panorama mozzafiato, come può essere un fiume dalle rive ricche e rigogliose. 
A chi non può vedere minuscoli bambini giocare in quelle acque verdastre  su piroghe di legno di palma. A chi non può vedersi affiancare e sentirsi prendere la mano dallo stesso bimbetto che alla via crucis della scorsa settimana aveva fatto di tutto per stringertela. A chi non può salutare la gente sulla soglia della propria capanna e sentirsi augurare una buona giornata. A chi non può incrociare donne e bambini che trasportano in equilibrio sulla testa ceste di legna o vasche colme d’acqua. A chi, in un’aula piena di crepe, non può vedersi circondare da 50 bambini senza scarpe ma con gli occhi curiosi, il sorriso luminoso e le manine tese per sfiorare le tue braccia bianche e vedere se questo colore è cancellabile. A chi  non può assistere all’incredibile scenetta che ha come protagonisti tre bimbetti che si chiamano tra loro alla tua vista, si alzano in piedi, saltellano e aspettano, aspettano il momento esatto perché tu sia abbastanza vicina per sentirli dire in coro “Bonjour demoiselle!” con tutto il fiato che hanno in corpo. Ma penso anche a  me che ci sono e non sono ancora del tutto consapevole di esserci. Di essere qui e di vivere sulla mia pelle color del latte una fetta della vita  di chi ha invece quella di color cioccolato.
Sorrido ripensando a tutto. Spengo la mia torcia. Stendo le gambe. Tiro giù la zanzariera. Tendo l’orecchio: fuori c’è il canto dei grilli, dentro il canto del cuore.



domenica 4 marzo 2012

Una domenica come tante

Stamattina una nebbia avvolge la foresta . Una nebbia sottile, come una piccola pioggerella che scende dai rami.
È domenica . Giorno di festa. La gente non resta a dormire un po’ di più. A stendere le gambe dopo una settimana di duro lavoro. Sono già in piedi. Giovani e non.
Alle 7.00 suonano le campane della chiesa. Si va tutti a pregare. La celebrazione è in lingala, dunque non ho capito granchè… Ogni tanto incrocio gli occhi di un bimbo. Alza la manina e mi sorride. Guardo giù lungo la navata. Volti scuri. Vestiti sgargianti. I vestiti della festa. Consunti ma puliti. Un po’ di vento fresco entra dalla porta laterale. L’incenso si spande per la chiesa e i canti al ritmo dei tamburi rallegrano lo spirito.
È difficile descrivere come ci sente quando, a pochi minuti della fine, la maggior  parte della gente si volta sorridendo verso il banco dove siamo sedute. Ci guardano e aspettano. Il sacerdote sta dicendo qualcosa.  Cosa?Parla di noi! Ci invita ad andare sull’altare per presentarci. A chi? Ad una platea di sconosciuti. Di persone che vivono in questo luogo così diverso da casa mia. Di uomini dalla pelle scura e dalle mani callose. Di donne con acconciature elaborate e bimbi allacciati sulla schiena. Di ragazzi e ragazze che non so come vivono la loro giovinezza. Di bambini e bambine curiosi e innocenti. Tutti ci cantano il benvenuto e ci dicono grazie al ritmo del battito delle mani. Saluto e il mio merci si perde tra i suoni. Il mio sguardo si posa su quei volti e le lacrime fanno capolino. Sono davvero qui. Fra questa gente. L’imbarazzo mi abbandona e sorrido. In fondo è solo un benvenuto. Quello che spetta ad un ospite. Un ospite come tanti. In una domenica come tante.

venerdì 2 marzo 2012

Due mani non bastano

Il cielo è grigio. Non sono riuscita ancora  a vederlo azzurro. Con la stagione delle piogge si schiarirà, mi dicono.  Aspetterò. Qui fuori si torna in bici dal campo, si corre dietro a ruote di ferro spinte con i bastoni, si creano archi con i rami, ci si rincorre e alla vista di una macchia colorata dalle braccia e il viso bianco, si alza timidamente una mano per salutare.
Stamattina come ormai d’abitudine, alle 8 mi sono seduta  fuori sulla veranda e  ho assistito incantata ai balli d’apertura della scuola materna! Come urlavano e saltavano! Ad un certo punto è arrivata  una mamma che dopo essere scesa dalla bici  ha lasciato scivolare giù uno alla volta i tre piccoli che trasportava. È lo scuolabus di Rungu! Oggi però abbiamo avuto uno spettacolo tutto per noi…finalmente abbiamo abbandonato la veranda e siamo andati nelle aule…e come dice qualcuno..un sol grido si levò “soyez benvenues mes amis!” . Un coro di vocine delicate. Cuori puri e felici. Ci è mancato poco che scoppiassi a piangere davanti a loro! Che buffa sarei apparsa! Cento volte più di quanto già non lo sia!
Dopo durante un incontro con gli insegnanti in cui abbiamo mostrato del materiale didattico ho vissuto un momento di turbamento e oserei dire vergogna . Bè, sollevare la carta tematica dell’Africa in cui c’è la situazione economica di tutti i Paesi e notare che la RD del Congo ha PIL pari a zero perché tutte le sue materie prime sono esportate da multinazionali del cosiddetto mondo sviluppato da cui io provengo..non è affatto piacevole! Chissà cosa pensano di me, mi dicevo. Ma come sempre viene fuori qualche frase detta al corso di formazione e si cerca di gestire al meglio la situazione interiore…
Sono tornata da poco dalla via crucis che si è tenuta nel quartiere e recitata in lingala, la lingua del posto. Non eravamo in tanti a formare la processione ma si respirava una profonda pace e armonia. Tanti erano i bambini. Ipiù grandi con in spalla i piccini. Qualcuno con il nasino sporco. Un altro a stringersi sul pancino la camiciola senza bottoni.E poi, inevitabilmente,ogni mia mano ne stringeva un’altra, minuscola e nera. Il sudore impediva una presa salda ma nessuno dei due desisteva. Ad un certo punto, il bambino che camminava avanti a me e che mi riempiva di sorrisi, ha approfittato di un  momento in cui avevo lasciato la mano del mio compagno di sinistra, per infilarci in mezzo la sua! Quindi avevo due mani ma ne stringevo tre. E allora ho pensato che due mani non bastano…