mercoledì 29 agosto 2012

ESTATE



Il ritmo martellante della pioggia che questa notte ha fatto da colonna sonora ai sogni della gente di Rungu cadendo  sulle capanne, sugli alberi e sulla terra, è stato sostituito dal dolce canto degli uccellini tessitori.
Socchiudo gli occhi. Questa luce mi acceca. Sembra che l’acqua abbia lavato e lucidato tutti i colori che brillano in tutta la loro vivacità. Il verde dei grandi alberi, il rosso della polvere, il giallo del sole che riluce, perfino il profumo della brezza calda sembra visibile. Mi passa tra i capelli e mi riporta alla memoria un’altra terra, la mia.

È stata un’estate diversa questa. Niente mare. Niente scarpe da vendere, né clienti da accontentare. Niente grappoli d’uva violacea e fichi d’India dai colori sgargianti. Nessun falò sulla spiaggia. Nessun giro fra le bancarelle dei mercatini. Nessun interludio in una terra magica come l’Albania.
È stata un’estate ricca di emozioni. È stata un’estate in cui ho messo in saccoccia un mucchio di nuove esperienze ed ho imparato una diversa sfaccettatura di significato di tanti verbi. 

CONOSCERE tanta gente.
TRADURRE canzoni e filastrocche.
APPRENDERE come la morte può essere subdola ma al contempo prevedibile.
PESARE chili e chili di carne di maiale e pesce secco salato.
SOPPORTARE il prurito dovuto a 3 grosse punture d’insetto.
IMPARARE  a dire cose che non avevo mai detto.
CERCARE  di far ridere con una battuta in una lingua mista 100 insegnanti venuti per la formazione.
INGOIARE il disprezzo che ho sentito in alcuni sguardi.
FOTOGRAFARE la pelle di un lungo serpente che ho trovato sulla mia strada.
PROVARE la delusione per il mancato arrivo di una persona tanto attesa.
GIOCARE con le bolle di sapone.
TRATTENERE le lacrime davanti ai ringraziamenti  e ai sorrisi.
ABBASSARE le spalle, impotente di fronte ad un virus dilagante.
SORRIDERE emozionata nell’aprire un pacco inviatomi dalla mia famiglia e a leggere il nome della mia città su un pacco di “frise”.
COSTRUIRE cubi di carta.
COMINCIARE  a capire quanto una colonizzazione prima e una dittatura poi possano marchiare indelebilmente un Paese.
SENTIRMI dire cose che non avrei mai immaginato di meritare.
PASSEGGIARE con il cuore che batte all’impazzata nel petto.
VEDERE con profonda tristezza una bambina nascondersi spaventata da quell’uomo bianco di cui le cantano come a me cantavano “la daremo all’uomo nero!”
PENSARE a chi non è con me anche se vorrei tanto che ci fosse.
ABBRACCIARE chi invece c’è ed è pronto a ricambiare il mio sguardo.
GUSTARE dopo mesi e con un piacere tutto nuovo la crema al cioccolato.
PIANTARE cipolle sotto il cielo africano.
RICORDARE con affetto l’esperienza di un anno fa.

VIVERE senza troppe pretese ogni singolo giorno con la certezza di esserci in mezzo con tutta me stessa.





lunedì 27 agosto 2012

DI TUTTI E DI NESSUNO


È domenica. La chiesa è piena di colori, di odori, di suoni. Fa caldo. Il sole è già alto nel cielo. Siedo tra la gente. Lascio che la mia mani dalla pelle chiara stringano nel segno della pace quelle cioccolatose del mio vicino.
Un bimbetto discende la navata. Dove va così deciso? Si ferma in direzione della panca dove sono seduta io. Si fa spazio tra le gambe dei miei vicini e si accoccola sulle mie. Senza dire una parola. È sudato. Mi si stringe addosso. Lo tengo stretto. Si addormenta. La donna che è alla mia sinistra gli asciuga la fronte. Mi sento come una delle tante mamme che durante la messa prende con sé il bimbo di un’altra. Quando lui ha fame lo passa a quella seduta dietro che lo allatta coprendosi con dignitoso pudore. I bimbi sono di tutti. Oserei dire di tutti e di nessuno. A volte. Una volta ho incrociato un microscopico ometto che camminava lungo la strada solo. Piangeva  ed ad intervalli si accovacciava a terra. Scottava. Aveva la febbre alta. Torna a casa da scuola. Troverà qualcuno  che si occuperà  di lui? Fratelli, parenti saranno ai campi, torneranno nel tardo pomeriggio e prepareranno il riso con le foglie di manioca. Un menù fisso che comporta dei problemi legati alla malnutrizione. È questo che induce tanti piccoli a recarsi al centro nutrizionale dell’ospedale.
Occhi spenti. Sorriso inesistente. Pianto isterico. Quando ci sono stata la prima volta non sapevo cosa fare. Vedere questi bimbetti sudici, magri, inattivi mi ha stretto il cuore. Ma sono stati loro stessi a coinvolgermi. A tendermi le manine e a dirmi cose incomprensibili. Adesso quando li guardo e conosco la loro storia leggo non solo la fame del corpo ma anche quella dello spirito. Spero che il nostro sorriso e i nostri giochi in lingua mista calmino il loro appettito e la loro sete d’affetto.

DI TUTTI E DI NESSUNO 24 GIUGNO 2012


È domenica. La chiesa è piena di colori, di odori, di suoni. Fa caldo. Il sole è già alto nel cielo. Siedo tra la gente. Lascio che la mia mani dalla pelle chiara stringano nel segno della pace quelle cioccolatose del mio vicino.
Un bimbetto discende la navata. Dove va così deciso? Si ferma in direzione della panca dove sono seduta io. Si fa spazio tra le gambe dei miei vicini e si accoccola sulle mie. Senza dire una parola. È sudato. Mi si stringe addosso. Lo tengo stretto. Si addormenta. La donna che è alla mia sinistra gli asciuga la fronte. Mi sento come una delle tante mamme che durante la messa prende con sé il bimbo di un’altra. Quando lui ha fame lo passa a quella seduta dietro che lo allatta coprendosi con dignitoso pudore. I bimbi sono di tutti. Oserei dire di tutti e di nessuno. A volte. Una volta ho incrociato un microscopico ometto che camminava lungo la strada solo. Piangeva  ed ad intervalli si accovacciava a terra. Scottava. Aveva la febbre alta. Torna a casa da scuola. Troverà qualcuno  che si occuperà  di lui? Fratelli, parenti saranno ai campi, torneranno nel tardo pomeriggio e prepareranno il riso con le foglie di manioca. Un menù fisso che comporta dei problemi legati alla malnutrizione. È questo che induce tanti piccoli a recarsi al centro nutrizionale dell’ospedale.
Occhi spenti. Sorriso inesistente. Pianto isterico. Quando ci sono stata la prima volta non sapevo cosa fare. Vedere questi bimbetti sudici, magri, inattivi mi ha stretto il cuore. Ma sono stati loro stessi a coinvolgermi. A tendermi le manine e a dirmi cose incomprensibili. Adesso quando li guardo e conosco la loro storia leggo non solo la fame del corpo ma anche quella dello spirito. Spero che il nostro sorriso e i nostri giochi in lingua mista calmino il loro appettito e la loro sete d’affetto.