22 dicembre 2012
Piene vacanze di Natale. Il
villaggio sembra vuoto. Quando le scuole sono chiuse è sempre così. Una strana
quiete. E io abituata al via vai degli scolari sono sempre lì in attesa. Come
se da un momento all’altro dovessi sentire la campanella e vederli correre
fuori con i quaderni in testa. Giovedì mi trovavo alla scuola materna per
aiutare i bambini adottati a scrivere le
letterine di Buon Natale e Buon Anno al papà o alla mamma che li sostiene
dall’Italia. Un accento mancante su una “e”, un po’ di disegni da modello sulla
lavagna, una sgridata a chi sgattaiola fuori per giocare sull’altalena ( anche
se alla fine a dondolare ci sono andata anche io!).
Nathalie , una piccoletta di
prima elementare, con la testa bollente e il corpicino tremante era sdraiata
sulla panca. È ammalata ma come sempre è
stata mandata fuori casa senza molta attenzione. Georgine mi dice di portarla
all’ospedale perché in quanto adottata ha diritto alle cure mediche, intanto
lei va a cercare qualcuno della famiglia perché se il dottore optava per
l’ospedalizzazione qualcuno con lei doveva restarci! Così ho infilato i soldi
in tasca, l’ho presa in braccio con addosso SOLO il suo consunto vestitino rosa
e sono andata in ospedale. Ho seguito tutta la trafila. Prima ho comprato un
nuovo libretto sanitario, poi ho fatto la fila per pagare la consultazione dal
medico e quando l’impiegato è arrivato mi ha fatto passare avanti. “Ma non segui l’ordine d’arrivo dei
pazienti?” gli ho detto. C’era altra gente prima di me. Lui ha sorriso e ha
continuato a segnare. Le preferenze di pelle mi fanno veramente girare quelle
che non ho! Allora mi ha scritto la visita e siamo andate a pagare e poi a sederci fuori dalla studio del
dottore. La bambina scotta ancora di più e io già mi immagino il peggio. È così
facile vedere smettere di respirare un bambino qui. La gente mi guarda e mi
chiede se è mia figlia. Cosa posso rispondere? “SI”.
Anche il dottore mi fa passare
avanti e durante la visita mi chiede cosa penso di fare al mio rientro. Cosa
penso di fare per quest’Africa. Mi metterò a cercare fondi? Il cervello
comincia fumarmi. “Possiamo pensare alla bambina?” Allora le prende la
temperatura, 38,7 e nient’altro. Sarà malaria. Prescrive diverse medicine e l’ospedalizzazione.
Fino ad adesso nessuno è venuto ad avvisarmi perciò sarò io la garde
malade, la persona che la assisterà. Il
dottore mi guarda e ridacchia. Starà pensando “ oh questi bianchi folli!”.
Sono andata a pagare e mi hanno trovato una
stanza a malapena. La pediatria è stracolma. Casi di anemia, malaria. Meningite.
La stagione secca fa alzare tantissima polvere che veicola i vari virus e gli
sbalzi di temperatura del mattino presto
e la sera indeboliscono il sistema immunitario. Le infermiere non mi sembrano
per niente dolci.. Il lingala suona un po’ come il tedesco. Imperioso. Pieno di
imperativi e senza per favore . Nathalie si stende sul materasso nudo in attesa
delle lenzuola e le iniettano la perfusione di chinino. Le gocce scendono piano
piano. Il chinino è pericolosissimo se entra in circolo a grande velocità. Geme
un po’. Poi si acquieta. Allora mi guardo intorno. In ospedale ci sono
già stata, ma mai come assistente di un paziente. È come vedere tutto per la
prima volta. La stanza spoglia, le pareti sgretolate, odore di pipì, le padelle
del cibo a terra sotto il comodino con i cucchiai sporchi. Un bambino con gli
occhi sgranati che mi fissa apatico, un altro malnutrito senza forza in braccio
alla mamma. Da quando sono qui è il primo che vedo in questo stato. Veramente
come quelli dei film. Ossa. Ossa e ossa. Una testa enorme per di più. Non
parla. Mangia quelle grosse larve bianche boccheggiando come un pesce. La testa
gli pende all’indietro. Il pisellino una cosa grinzosa in mezzo a due ossa
lunghe, le gambe. Chiudo gli occhi e caccio indietro le lacrime. Li riapro e
chiedo alla signora some stava. Così mi dice che ha avuto la meningite, è
debole, ha le febbre, la tosse, sono lì da tre settimane. Lei non ha nessuno a
darle il cambio. È sempre con il suo bambino. Intanto la mia malata si muove e mi indica qualcosa
con il ditino. E cosa mi chiede? Con la
testa che scoppia, sudata, senza nessuno, con l’ago infilato nel braccio? Cosa
può chiedere una bambina minuscola che vive con la nonna che lascia lei e i
suoi fratellini soli in casa per tre giorni per andare al campo ( è questo che
abbiamo saputo della sua famiglia) sdraiata vicino ad una bianca che ha pagato
per lei usando i soldi che erano nella tasca sinistra? “Mbongo”. Soldi. È
questo che mi ha detto. Questo . Dapprima un’ondata di rabbia, poi la
rassegnazione. Non è certo colpa sua. Ripete, fa quello che le hanno insegnato
, quello che vede. Ho pensato che quello che stavo facendo era inutile. Che ci
facevo là io?
Mi è passata a poco a poco. Ho
cominciato a chiacchierare con le mamme, in un misto linguistico. Ho incontrato
alcune persone che conosco già. Ho pensato a Maria che lavora da 30 anni in
questo posto dove cerca di portare i nostri criteri ospedalieri, ma invano. Ho
visto girare l’ostetrica tutta bardata dopo il cesareo con le forbici del parto
fuori dalla sala. Galline a beccare nelle aiuole fuori dalle camere, bucce di
noccioline sotto il letto, bambini a cui veniva cambiato il “ pannolino” per
terra. Ho pensato che è tutto così diverso e complicato. Ma allo stesso tempo
così tanto semplice. Senza tanti se e tanti ma.
Intanto era girata la voce che la demoiselle
assisteva una bambina e che la sua nonna è una irresponsabile. Dire che qui
sono sempre sotto i riflettori è un eufemismo. Grazie a questo passaparola è passata una donna che conosce la bambina e si è
offerta di assisterla insieme al suo di bambino, ricoverato anche lui. Così
sono andata a casa dopo 4 ore. Che giornata più assurda. Ci sono tornata nel
pomeriggio e ieri mattina. Sempre sola era. Mi hanno detto che era arrivata una
bambina per stare con lei ma io non l’ho vista. Mentre ero là mi chiedono il
gruppo sanguigno e se potevo donare perché c’era una bambina di tre anni con 2
di emoglobina. Moriva se non facevano subito una trasfusione. Il problema è che
qui tantissimi sono anemici e sangue non c’è. Pochissimi donano. Va bene. Ho
già donato altre volte in Italia. Allora vedono che sono zero positivo e posso
farlo.
Allora dopo la caccia alla vena ( “E meno male
che sono bianca!” ho detto al laboratorista) mi hanno tirato il sangue.
Nonostante Maria dicesse che bisognava fare presto , tutti erano calmi. Io
stessa non mi sono resa conto di quanto fosse grave la cosa. Ma qui sono così
flemmatici sempre. Io non ho nemmeno sentito questa donazione come diversa
dalle altre eppure ho visto che il mio sangue è servito a qualcosa. Comunque la
bambina sta bene oggi. Sono passata ieri pomeriggio e anche stamattina.
Nathalie è uscita. Ma la nonna si è fatta viva solo oggi . Calma.
“ Cosa posso farci se il mio
campo è così lontano?”
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