lunedì 5 novembre 2012

SOLO


Il vento soffia leggero fra i rami e le foglie. I miei piedi marciano cauti. Un passo dopo l’altro. La testa china, attenta a possibili movimenti strani. I profumi si alternano. Ora sono tenui e delicati, un attimo dopo aspri e pesanti. L’aria è umida, quasi tangibile. Qualche goccia d’acqua rotola giù dalle foglie larghe come ombrelli. Il colore dominante è il verde. Sono nel cuore palpitante della foresta equatoriale, quella foresta dell’Africa Nera di cui, fino a poco fa, avevo solo letto o visto nei documentari insieme al mio papà.
Qualche volatile salta da un ramo all’altro. Grosse formiche procedono in fila indiana. Non mi era mai capitato di imbattermi in esemplari così grossi! Fanno un vero e proprio brusio al loro passaggio. Ognuna trasporta delle uova. Come sentinelle, ogni tot, le vedette, posizionate all’esterno della colonna, sorvegliano la marcia delle compagne. Incredibile!
I miei accompagnatori, Fabio, l’agronomo italiano, Joseph, l’agronomo locale e Nicolas, coltivatore figlio della foresta, scandiscono il ritmo dell’escursione. Fabio sta portando avanti un progetto sulla biodiversità forestale che prevede la realizzazione di un orto botanico anche a sostegno della medicina tradizionale. È per questo che si reca nella foresta facendosi accompagnare dalla gente del posto. 
Nicolas è in testa. Armato di machete ( la tipica ascia congolese), ci apre la strada. Ci fermiamo sotto un grande albero. Ci dice di pazientare. Si allontana, sparisce dietro un  muro di liane. Qualche colpo di machete ed eccolo riapparire con un ramo stracolmo di foglie e qualche bacca rossa. Comincia con il dirci il nome della pianta. Anzi, no. I nomi. In due lingue diverse, lingala ( una delle 4 lingue veicolari della RDC) e chimbetu ( la lingua della tribù maggioritaria a Rungu). Nicolas ci svela un mondo tutto nuovo. Cosa quella pianta può curare, come preparare l’infuso, quante volte al giorno somministrarlo. Ho pensato che è davvero come si dice: la natura ha tutto quello di cui l’uomo ha bisogno. È anche vero però che, spesso, la medicina tradizionale e i suoi praticanti ( quelli che noi chiamiamo stregoni o guaritori ma che qui sono conosciuti come “ganga kisi”, cioè donatori di medicinali, o féticheur) non sono capaci di risolvere tutti  i mali, ma per quell’oscuro lato dell’essere umano tendente alla frode e al guadagno a discapito di chi tenta l’impossibile per uscire dal tunnel della malattia, provocano morti evitabili se solo riconoscerebbero umilmente di non saper affrontare determinati casi clinici.
Fabio prende appunti e cerca di far corrispondere a quegli strani nomi dal suono ricco di “gb”, il nome scientifico, ora di quest’arbusto, ora di quel frutto.  Io  mi limito ad ascoltare e a racimolare rametti e radici. È così rilassante aggirarsi fra questi alberi! Ma non posso non fare caso a quella vocina nella mia testa, una vocina che richiama il consiglio di un amico ora in Italia, “ Ricorda che i serpenti non sono solo sul terreno. Possono anche cadere dal’alto. Dagli alberi”. È per questo che di tanto in tanto il mio sguardo si sposta frenetico dalla terra verso il cielo.
Sostiamo lungo le rive di un minuscolo ruscello che attraversa la risaia. Nicolas ci offre un pezzo di canna che cresce sulle rive. È come una caramella. Ricca d’acqua e zucchero. Ottima per soffocare la sete nelle mattinate tropicali. 
Poco dopo mi ritrovo a correre all’impazzata per non permettere alle terribili formiche urticanti di arrampicarsi su per le scarpe. Sono migliaia. In ordine sparso occupano un grande tratto del sentiero. Terribili! Qualcuna mi ha raggiunto il polpaccio. Mi fermo per cacciarla via. La sua boccuccia affonda nella mia pelle. Uno scricciolo dalla forza inaspettata!
Come se non bastasse ho il piede sinistro zuppo ! Saltare per valicare il ruscelletto mi ha trovato un po’ fuori allenamento, ahimè, pazienza!
Joseph mi mette alla prova indicandomi un albero alla nostra destra.           “ Questo lo conosci”. Guardo attentamente. Comincio a sparare qualche nome. Poi mi si accende una lampadina. Stacco una foglia e l’annuso. Un profumo che mi riporta in un altro luogo. “ Citron ( limone)!”. Ho indovinato! Che bello!!!
Quando nel senso opposto arriva qualcuno che ritorna con la provvista di legna accatastata sulla testa o con lunghi fasci di canapa per coprire il tetto della propria casa, il sentiero diventa troppo stretto e mi stupisco ancora una volta della loro capacità di infilarsi nel fitto della boscaglia per poi ricomparire dopo il nostro passaggio.
Ci lasciamo alle spalle il fitto della foresta e torniamo fra le capanne del centro abitato. Il sole, prossimo al tramonto, colora il cielo di bellissime tonalità. Rosa, violetto, celeste, giallo caldo, bianco. Non posso fare a meno di sollevare il capo e lasciare che i miei occhi catturino questa quiete dipinta. In lontananza il suono del tam tam ( il tamburo). Il fumo dei fuochi all’aperto sale verso l’alto. Quasi come una nebbia ci impedisce di vedere chiaramente l’arcobaleno che fa da corona alle chiome degli alberi. La notte sta per colorare di nero tutto ciò che ci circonda. Solo fino a domani. Solo prima che ancora una volta Rungu si risvegli. Solo per ricordarci che siamo qui anche se il buio ci impedisce di vedere. Solo.

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