È domenica. La chiesa è piena di colori, di odori, di suoni.
Fa caldo. Il sole è già alto nel cielo. Siedo tra la gente. Lascio che la mia
mani dalla pelle chiara stringano nel segno della pace quelle cioccolatose del
mio vicino.
Un bimbetto discende la navata. Dove va così deciso? Si ferma
in direzione della panca dove sono seduta io. Si fa spazio tra le gambe dei
miei vicini e si accoccola sulle mie. Senza dire una parola. È sudato. Mi si
stringe addosso. Lo tengo stretto. Si addormenta. La donna che è alla mia
sinistra gli asciuga la fronte. Mi sento come una delle tante mamme che durante
la messa prende con sé il bimbo di un’altra. Quando lui ha fame lo passa a
quella seduta dietro che lo allatta coprendosi con dignitoso pudore. I bimbi
sono di tutti. Oserei dire di tutti e di nessuno. A volte. Una volta ho
incrociato un microscopico ometto che camminava lungo la strada solo.
Piangeva ed ad intervalli si
accovacciava a terra. Scottava. Aveva la febbre alta. Torna a casa da scuola.
Troverà qualcuno che si occuperà di lui? Fratelli, parenti saranno ai campi,
torneranno nel tardo pomeriggio e prepareranno il riso con le foglie di
manioca. Un menù fisso che comporta dei problemi legati alla malnutrizione. È
questo che induce tanti piccoli a recarsi al centro nutrizionale dell’ospedale.
Occhi spenti. Sorriso inesistente. Pianto isterico. Quando ci
sono stata la prima volta non sapevo cosa fare. Vedere questi bimbetti sudici,
magri, inattivi mi ha stretto il cuore. Ma sono stati loro stessi a
coinvolgermi. A tendermi le manine e a dirmi cose incomprensibili. Adesso
quando li guardo e conosco la loro storia leggo non solo la fame del corpo ma
anche quella dello spirito. Spero che il nostro sorriso e i nostri giochi in
lingua mista calmino il loro appettito e la loro sete d’affetto.
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