giovedì 8 marzo 2012

DENTRO 7 febbraio 2012

Sono appena tornata dalla bottega del sarto. Sono le 22:00. Qui a Rungu c’è ancora chi lavora. Fuori è buio pesto. Nella bottega anche. A parte la luce circoscritta di due torce. Una illumina la macchina da cucire del maestro, l’altra permette all’apprendista  di lavorare a mano. Mi guardo intorno, per quel poco che riesco a scorgere. Stoffe sgargianti, fili colorati, mani all’opera, clienti in attesa che chiacchierano. Non si vede nulla al di là del mio naso. Penso che si incredibile! Come possono loro, mi dico, intessere le trame della loro vita così difficile, con la stessa semplicità con cui ricamano al buio gli abiti della festa? Come possiamo noi, mi dico, lamentarci se per un’ora del pomeriggio ci hanno staccato la corrente elettrica per dei lavori nel quartiere?
Non lo so. Penso solo a custodire tutte queste emozioni. Nello stesso momento in cui lo faccio il mio pensiero corre a chi è lontano. A chi non può afferrare questa estrema semplicità racchiusa in un angolo di foresta equatoriale. A chi non può sentire la brezza calda della sera congolese sulle guance. A chi non può percorrere 5 km di strada polverosa e rossa per raggiungere un panorama mozzafiato, come può essere un fiume dalle rive ricche e rigogliose. 
A chi non può vedere minuscoli bambini giocare in quelle acque verdastre  su piroghe di legno di palma. A chi non può vedersi affiancare e sentirsi prendere la mano dallo stesso bimbetto che alla via crucis della scorsa settimana aveva fatto di tutto per stringertela. A chi non può salutare la gente sulla soglia della propria capanna e sentirsi augurare una buona giornata. A chi non può incrociare donne e bambini che trasportano in equilibrio sulla testa ceste di legna o vasche colme d’acqua. A chi, in un’aula piena di crepe, non può vedersi circondare da 50 bambini senza scarpe ma con gli occhi curiosi, il sorriso luminoso e le manine tese per sfiorare le tue braccia bianche e vedere se questo colore è cancellabile. A chi  non può assistere all’incredibile scenetta che ha come protagonisti tre bimbetti che si chiamano tra loro alla tua vista, si alzano in piedi, saltellano e aspettano, aspettano il momento esatto perché tu sia abbastanza vicina per sentirli dire in coro “Bonjour demoiselle!” con tutto il fiato che hanno in corpo. Ma penso anche a  me che ci sono e non sono ancora del tutto consapevole di esserci. Di essere qui e di vivere sulla mia pelle color del latte una fetta della vita  di chi ha invece quella di color cioccolato.
Sorrido ripensando a tutto. Spengo la mia torcia. Stendo le gambe. Tiro giù la zanzariera. Tendo l’orecchio: fuori c’è il canto dei grilli, dentro il canto del cuore.



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