lunedì 12 marzo 2012

GLI OCCHIALI 12 marzo 2012

Sono passate due settimane dal mio arrivo a Rungu. E quasi come un tacito anniversario da ricordare, questa mattina una mamma del villaggio è seduta fuori nella frescura delle prime ore, ad aspettarci. Aspetta noi. Possibile? Si. Ci ha portato un dono. Una grossa ananas. L’ha tirata fuori dalla sua borsa di rafia intrecciata e con uno splendido sorriso ha teso le sue mani colme del frutto maturo. Uno stupore misto a gratitudine mi ha attraversato come una scossa. È la prima volta che ricevo un regalo così. Un regalo semplice. Dalle mani di una donna che a malapena ricorda il mio nome. Da una donna che avrà lavorato duro per procurarsi il dono per ME. Da una mamma che ha tolto un frutto ai suoi figli. Le ho detto semplicemente grazie nella sua lingua. Ma basterà? Mi chiedevo. Ho chiesto. Mi hanno detto di si sorridendo, stupiti di questa mia domanda. Si. È così che si ringrazia qui. Cosa altro vuoi fare? E che ne so! L’ho vista riprendere la borsa, adesso vuota, lanciarmi un ultimo saluto e tornare alla sua giornata. Sembrava felice. Io lo ero.  
Le donne qui hanno sempre tanto da fare. Le vedi aggirarsi con sulla schiena e in equilibrio sulla testa di tutto. Ceste di legna, vasche d’acqua, verdura, bambini, abiti, pollame. Questa loro incredibile capacità mi lascia stupita ogni volta. Incredibile, mi dico! Ma come fanno? Durante la manifestazione per la festa della donna, in cui hanno sfilato tutte le categorie femminili del villaggio, dalle più piccole alle più grandi, hanno anche fatto delle mini gare per mettere in luce le loro  capacità. Velocità nell’accendere il fuoco, nel lavare e vestire il proprio figlio, e appunto trasportare in equilibrio sulla testa nuda una bottiglia di vetro vuota!! Oh, che spettacolo!! Ero estasiata.  Partecipare a questo evento mi ha fatto uno strano effetto. A parte l’imbarazzo di trovarmi seduta tra le autorità sotto un baldacchino di bambù per proteggerci dal caldo equatoriale mentre tutti gli altri erano a sciogliersi al calore del sole, ho provato una forte emozione nel vedere la determinazione di queste donne che lottano per essere considerate non come un oggetto. Tanti gli auguri ricevuti dagli uomini. Eppure a lavorare duramente io ho visto solo donne. Non un uomo che si muovesse anche solo per spegnere i fuocherelli dopo la gara. Qui la famiglia è patriarcale ma di fatto molto della gestione famigliare è sulle spalle della donna. Bè, posso dire che in questo caso, tutto il mondo è paese. Ovunque si lotta per la parità dei sessi. Qui fa ancora più effetto, perché per i miei occhi da europea, fa strano assistere ad una giornata di festa a cui partecipano bambini malnutriti e vestiti di stracci. I miei occhi sarebbero portati a vedere altre priorità che una festa. Ma poi mi sono detta che la vita è anche questo. Il gusto di divertirsi e di stare insieme. Di lottare per ideali che trascendano il raggiungimento immediato di un miglioramento. Ho cercato di togliermi di dosso questi occhiali da “donna del primo mondo” e mi sono lasciata travolgere dall’emozione di veder sfilare cantando il proprio inno nazionale i bimbi, le donne sfollate in fuga  (e scalze per ricordarlo) dal territorio del nord,  la recitazione di una poesia sull’uguaglianza fra i popoli.
Cercare di guardare questa realtà senza quei famosi occhiali è difficile. Oggi, per esempio, siamo stati a visitare una scuola elementare nel bel mezzo della foresta. Guardavo le aule. Le pareti sono pezzi di legna uniti tra loro da mura di argilla rossa. I tetti sono costituiti da una fitta trama di pali di bambù ricoperti di foglie di palma. I banchi non sempre ci sono. E sono ancora una volta pezzi di legna poggiati su pali piantati nel terreno. Ho visto tre insegnanti per quattro classi. 50 alunni senza quaderni dove prendere appunti. La mancanza di tutto. Poi ho tolto gli occhiali. Ero sempre lì. E ho visto delle aule in mezzo alla natura incontaminata. Ho conosciuto tre insegnanti che,senza ricevere uno stipendio fisso, sono ogni mattina lì a fare lezione. Ho incontrato gli sguardi di 50 alunni desiderosi di imparare senza quaderni ma con l’entusiasmo della curiosità. Ho deciso. Senza l’uso di quelle lenti europee è tutto molto più ricco di senso. Il senso dell’essenziale! 
L’essenziale. Quello che ci è bastato sabato pomeriggio per cominciare a giocare con i bambini incontrati durante la passeggiata. Non sapevamo come farci capire. Ma chissà come ci siamo riuscite! E alla fine erano loro a far cantare e ballare noi!
Ho messo via questi occhiali. Chiusi nel cassetto. Lo sguardo è più limpido. Il cielo più stellato!
Buonanotte…

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