giovedì 7 febbraio 2013

UNA PARTE MINUSCOLA DI MONDO


Kinshasa, 11 gennaio 2013

Sono le 21. Fuori un brusio di sottofondo accompagna la musica della radio accesa 24 ore su 24 ore. Un brusio che avevo dimenticato ma che allo stesso tempo mi suona così famigliare. Gomme che mangiano l’asfalto, motori che rombano, smog come una nube sulla città. Si, sulla città. Non posso più parlare di Rungu, del mio villaggio ma della capitale della Rdc, Kinshasa, eretta sulla costa del fiume Congo. Quel fiume così grande e maestoso, dalle acque dal color del fango,  quel fiume che diversi esploratori nel corso di secoli hanno solcato in lungo e in largo. Navigabile solo verso il nord, fino a Kisangani. Quel fiume che ritraggono sempre con in mezzo due uomini scuri in piroga stagliati contro il sole del tramonto. Li ho visti. Proprio quei due, si!
Come la  prima volta che sono scesa all’aeroporto, quasi un anno fa, anche questa volta l’afa pesante e umida mi ha travolto.  Ma niente oscurità,  solo il tum tum del cuore allo sportello stranieri. Ma fila tutto liscio. Ed eccomi qui da una settimana, lontana dalla natura, dal sole cocente e dalla gente della foresta. Il traffico che imbottiglia camioncini, auto e pedoni. Un girone dantesco? Forse si. Siamo costretti a chiudere le sicure delle portiere per evitare scippi di sorta e entrate senza permesso dei violenti poliziotti sempre a caccia di soldi da sfilare. Davanti a noi un serpentone di auto. A destra da uno dei mezzi pubblici ( una multipla stracolma di passeggeri) saltano giù i clienti. La fermata non esiste. Vuoi scendere o salire adesso? Salta su o smonta! Niente di più semplice e pericoloso al contempo! I venditori ambulanti ti ficcano la merce in grembo: fazzoletti, bibite ghiacciate, panini, occhiali da sole. Qualcuno ci grida di scendere. Qualcun altro ci fa il segno dell’ok, come a dire “brave per esserci venuti a trovare!”.
Vista con certi occhi Kinshasa assomiglia un po’ a Milano, soprattutto verso il centro. Grandi palazzoni, lunghi boulevard, una bruma grigia sospesa a qualche metro da terra. Il quartiere più chic abitato da diplomatici e ambasciatori. Lussuose ville guardate a vista. Dappertutto militari armati. Con un cipiglio duro da far paura. A chi poi? E perché? La RDC è un Paese in perenne stato di guerra, mi dicono, ecco perché. Bè, si, lo sapevo…ma…si vede proprio che ho passato un anno in un posto diverso. Me ne accorgo anche dai bambini. Se a Rungu bastavano due secondi perché un bimbetto seduto in chiesa due banchi avanti al mio rispondesse ai miei giochi, qui ci ho impiegato due ore perché mi sorridesse! Mi giro intorno e la voglia di gridare il saluto mi si inceppa in gola. Qui tutti camminano frenetici o se incrociano il tuo sguardo non ci leggi quella timidezza che si supera subito con un ciao, ma spesso un cipiglio nervoso, quasi stizzito. La mia mano si arresta e si chiude. Ingoio e sorrido del tipo che dorme su una sedia mentre dall’altro lato del marciapiede un motorino sfreccia a due centimetri da una jeep il cui conducente urla di tutto. Cavolo! Per la fare la siesta non è necessario stare nella quiete del tuo giardino!
A volte però inciampi in quelle immagini che ti confondono, ti spaesano…ma dove sono?  Entro nell’aula dove i bimbi di strada del centro per minori fanno lezione. Le filastrocche, i suoni, i colori, gli odori della mia scuola. I bambini ridacchiano, si spintonano. Fanno a gare per rispondere alla domanda. La nostalgia mi sfiora.
Scendo lungo il quartiere . Attraverso il mercato e ascolto quella lingua dai toni adesso più comprensibili per me. Adesso che manca poco e l’aereo mi porterà lontano da qui.
I ragazzi dello studentato mi chiedono come è la vita in foresta. Mi fa strano essere io a raccontare di una zona del loro Paese. Dico questo e dico quello . “ Ma no, dai? Davvero?”.
Eh, già è proprio così. Vivere in un posto non vuol dire conoscere una nazione o addirittura un continente.
 Non posso dire di essere stata in Africa e metterci un punto.
Non posso dire di sapere cosa è l’Africa e metterci un punto.
Non posso dire  di conoscere Rungu e metterci un punto.
Prima del punto devo dire di aver toccato una parte minuscola di mondo. Quella parte che per undici mesi circa è stata casa mia.

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